sabato 9 maggio 2009

La Corte Costituzionale boccia sonoramente la legge 40 sulla fecondazione assistita

La Corte Costituzionale boccia la legge 40 sulla fecondazione assistita. I giudici della Consulta hanno infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 2, della norma, nel punto in cui prevede che ci sia un "unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre" di embrioni. Viola la Costituzione anche il comma 3 dello stesso articolo, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna. La Corte, infine, ha dichiarato inammissibili, per difetto di rilevanza nei giudizi principali, la questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 6, inerente l'irrevocabilità del consenso della donna, e dei commi 1 e 4 dell'articolo 14.
A fare ricorso alla Corte, con tre distinte ordinanze, sono stati il Tar del Lazio e il Tribunale di Firenze, ai quali si erano rivolti, rispettivamente, la World Association Reproductive Medicine e una coppia non fertile di Milano affetta da esostosi, una grave malattia genetica (con tasso di trasmissibilità superiore al 50%) che genera la crescita smisurata delle cartilagini delle ossa.
Le questioni di legittimità costituzionale riguardavano, in particolare, l'articolo 14 (commi 1,2,3 e 4) che prevede la formazione di un numero limitato di embrioni, fino a un massimo di tre, da impiantare contestualmente, e vieta la crioconservazione al di fuori di ipotesi limitate. Davanti alla Consulta è stato impugnato anche l'art.6 (comma 3) della legge 40 nella parte in cui obbliga la donna, una volta dato il proprio consenso alle tecniche di fecondazione assistita, all'impianto degli embrioni, escludendo così la revoca del consenso.
Secondo i giudici del Tribunale di Firenze e del Tar del Lazio le norme incriminate erano in contrasto con diversi principi tutelati dalla Costituzione. In particolare con l'art.3, sotto il profilo della ragionevolezza per il mancato bilanciamento tra la tutela dell'embrione e la tutela della esigenza di procreazione visti la "mancata valutazione della concreta possibilità di successo della pratica da effettuare" e il "mancato riconoscimento al medico curante di ogni discrezionalità nella valutazione del singolo caso". Secondo i ricorsi, la legge in questione avrebbe realizzato una "irragionevole disparità di trattamento" tra le donne in condizioni fisiche diverse che si sottopongono alla fecondazione assistita. E ancora: il diritto alla salute verrebbe leso in caso di insuccesso del primo impianto, in quanto la donna è costretta a sottoporsi a un successivo trattamento ovarico, ad "alto tasso di pericolosità per la salute fisica e psichica". Infine, anche la prevista irrevocabilità del consenso sarebbe stata in contrasto con l'art. 32 della Costituzione che "vieta i trattamenti sanitari obbligatori se non imposti per legge nel rispetto della dignità umana".
Sono trascorsi circa 4 anni dall'epoca in cui si è svolto il referendum per abrogare proprio quelle parti della legge 40 che oggi la Corte Costituzionale dichiara incostituzionali. Per una volta giustizia è stata fatta. Questa pronuncia ci consola di tutti i chilometri, le fatiche e l'impegno di quel periodo. Quando cercavamo di spiegare la bontà delle idee del comitato che aveva promosso il referendum. Quando parecchi storcevano il naso, additandoci - non riesco ancora a capire il perchè - come delle paladine dell'ateismo. Con taluni personaggi a poco valevano i nostri sforzi dialettici, i nostri rendiconti dettagliati e documentati scientificamente e giuridicamente. Adesso però il cerchio si chiude come fin dall'inizio avrebbe dovuto. Giustizia è stata fatta.

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