martedì 16 dicembre 2008

La città delle donne - I Puntata - ovvero il punto di vista felliniano


La città delle donne




Film di Federico Fellini del 1980 con Marcello Mastroianni, Anna Prucnal, Ettore Manni, Bernice Steegers.


Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 1980.


All'epoca della sua uscita, il film suscitò grandi polemiche sulla stampa e forti critiche da parte dei movimenti femministi. Il racconto, pur snodandosi in una dimensione onirico-fiabesca, propone la tesi, dal punto di vista maschile (o maschilista?) di una donna emancipata ma, proprio per questo, incapace di costruire un rapporto vero con l'uomo, descritto come un essere in stupita difesa che riceve attacchi generici e generalizzati in relazione al proprio patrimonio genetico, una sorta di "pulizia etnica di genere". Il film tenta in qualche modo di trarre un bilancio dei precedenti lustri di lotta per l'emancipazione femminile, che avevano completamente stravolto l'immagine ed il ruolo della donna nella società italiana.




Curiosità

Il film sarà la grande occasione per Donatella Damiani, una semi sconosciuta e formosa attricetta che, pur interpretando un personaggio marginale, riuscirà a divenire il sex symbol di quell'anno, ottenendo le copertine di molti periodici ed alcune scritture cinematografiche come protagonista.



Trama

Protagonista della vicenda è Snaporaz, un uomo maturo, incauto ed indifeso che, durante un viaggio in treno con la moglie Elena, conosce una donna misteriosa e decide di seguirla, scendendo in un'irreale stazione in mezzo alla campagna. Il film così inizia, con una sorta di ingresso simbolico nel pluridimensionale e pericoloso pianeta-donna. Seguendo la sconosciuta, Snaporaz si ritrova in un albergo, nel bel mezzo di un tumultuoso congresso di femministe che parlano per slogan e formule preconfezionate, procedono su temi frusti e rivendicazioni scontate che, tuttavia, il protagonista non riesce a comprendere. L'atteggiamento ostile e castrante delle femministe, consiglia Snaporaz ad una fuga precipitosa che lo porta nel castello di Katzone, un maturo santone dell'eros che vegeta nell'adorazione di una femminilità ormai desueta e nella vana attesa di un ritorno agli antichi splendori, custodendo gelosamente e metodicamente un reliquiario sessuale, popolato da donne formose e provocanti, autentici simboli della donna - oggetto.


Il racconto conduce infine ad un'aula di tribunale, dove uno Snaporaz, per certi versi un pò kafkiano in quanto inconscio della propria "colpa", viene condannato dalle femministe che lo portano in un'arena, ove assistere al suo pubblico linciaggio. Si risveglia sul treno, davanti alla moglie Elena.

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